Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz Birkenau, racconta la sua esperienza, in un testo adatto ai ragazzi, una straordinaria testimonianza dell'Olocausto.
Ho iniziato a leggere questo libro con i miei figli, a cui ho sempre parlato dell'Olocausto, poi appassionata dalle pagine, sono andata avanti a leggerlo da sola, terminandolo in una sola sera. Non era il libro che mi aspettavo e per questo mi ha colpito ancora di più nel profondo.
Credevo narrasse esclusivamente dei giorni della prigionia e della loro fine. Invece no.
Per quasi metà libro l'autrice racconta la sua vita prima delle leggi razziali, la vita prima dell'indifferenza generale, prima del buio e dell'oblio degli amici.
Liliana è una bambina come tante, ha perso la madre da piccolissima, ma è molto amata dai quattro nonni e dal papà.
Ci guida verso la conoscenza dei suoi cari, ci parla dell'attività di famiglia, delle vacanze, del rapporto speciale con il papà.
È in questa normalità, nel mezzo di una vita semplice in cui una bambina cresce pensando alla scuola, alle amicizie, alla vita di ogni giorno, è in questa normalità che come un tuono irrompe la crudeltà umana.
Da un giorno all'altro, un essere umano in tutto uguale ai suoi simili, perde ogni diritto sociale, ogni diritto alla vita.
Ogni diritto sulla propria vita.
È questa per me la riflessione più importante, a cui mi ha indotta questo testo.
Ho letto molti testi sull'Olocausto perché come ho avuto già modo di dire, mi tocca profondamente e intimamente.
Un passaggio che mi ha molto commossa che riguarda i momenti della libertà dopo la "marcia della morte", è stato questo:
"Io capitai con un gruppo di soldati italiani, una ventina di giovani bravissimi che si presero cura di noi ragazze, trattandoci come sorelle."
Ho pensato subito che tra quei giovani avrebbe potuto esserci mio nonno, e di sicuro è andata così anche per lui, quando finalmente rivide la luce, solo che lui era a Limburg e Liliana Segre in un piccolo paesino, Obermarschacht, nella Landa di Luneburg.
Nutro grande affetto e stima per Liliana Segre, le sue parole, la sua testimonianza mi ha sempre provocato grande emozione, conoscevo i racconti dei lager da quando ero bambina, e non dimenticherò mai gli occhi lucidi di mio nonno, quando ci parlava di quei giorni. Il suo sguardo diceva molto di più di quanto riuscisse a condivedere con noi. Aveva sofferto la fame e il freddo, allora non capivo quanto, adesso che sono adulta sì, e mi piacerebbe consolarlo per quello che ha passato, ma ci ha lasciato da molti anni.
Chi è passato da lì ha un marchio indelebile sul cuore, chi è passato da lì, lo riconosci da come guarda le piccole cose.
Anche mio nonno tornò a casa nell'agosto del 1945 dopo essere stato internato dal settembre 1943.
Consiglio questo libro profondo e toccante ai ragazzi dagli 11-12 anni e a tutti gli adulti.
Potrebbe essere letto anche prima per la delicatezza delle parole che l'autrice sceglie per raccontare, ma questo dipende da quanto si è pronti e dalla sensibilità di chi riceve il messaggio che questo libro invia, forte e chiaro: conoscere, sapere ciò che accadde lì, per essere candele della memoria per se stessi e per le future generazioni.
Fino a quando la mia stella brillerà
Liliana Segre con Daniela Palumbo
Piemme
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